Il Labirinto Pauroso
Ero davanti ad una pianura immensa, situata ai piedi di una collina: la mia meta.
Ero li, con la mia bici nuova, appena comprata; stavo per partire a tutta velocità quando all’improvviso si innalzò davanti a me un labirinto gigantesco.
Il cielo si fece scuro e la luca scomparve, arrivò anche la nebbia e non capivo cosa stesse succedendo.
Vidi un uomo e gli chiesi come dovevo fare per arrivare alla collinetta.
L’uomo mi disse che dovevo oltrepassare il labirinto, perché quello era l’unico modo di arrivare alla mia meta.
Iniziai a pedalare e ad addentrarmi nel labirinto.
Si era aperta una porta davanti a me, ma subito dopo che ne attraversai la soglia si richiuse.
Continuai a pedalare fino a che trovai una collana fatta con perline colorate di ogni tipo e dimensione; pensai che qualcuno prima di me fosso stato qui, e che l’avesse persa; non ci feci caso, la raccolsi e la tenni con me durante il lungo viaggio che sapevo che mi attendeva.
Fattami strada ancora più avanti scorsi degli alberi.
Mi avvicinai per vederli meglio, e quando ciò accadde mi sembravano dei brutti ceffi: i rami sembravano lunghe braccia fate di legno che ti volevano catturare, i tronchi tutti scavati e pieni di buchi.
Accanto a questi alberi orripilanti c’erano dei cespugli altrettanto paurosi e orridi,
in ogni cespuglio c’erano due fiori di un colore diverso da tutti gli altri.
Quei due fiori sembravano occhi intenti a fissarti e quindi mi sentivo osservata continuamente.
Man mano che mi addentravo sempre di più ero sempre più in ansia e, per mia sfortuna, ogni volta che imboccavo una strada era sempre quella sbagliata e di conseguenza dovevo ritornare indietro e ricominciare tutto da capo.
Per aiutarmi a ritrovare il punto di partenza usai, con grande sforzo, il mio innato senso dell’orientamento.
Per fortuna però, alla fine di tutti questi tentativi vani e inutili riuscii finalmente a vedere l’unica via che forse mi permetteva di guadagnare l’uscita.
La traversata di questa via mi sembrò interminabile, a continuavo a sentirmi fissata dagli “occhi” dei cespugli.
Mi sembrava inoltre che ad ogni passo che facevo le pareti si stringessero sempre di più, fino quasi a soffocarmi.
Ogni rumore o suono mi sembrava così vicino che delle volte mi voltavo per vedere se qualcuno o qualcosa mi stesse seguendo.
In realtà non c’era nessuno, ma me ne volevo accertare.
Quando finalmente ero quasi alla fine di questo percorso straziante una cosa inaspettata accadde: davanti a me apparve una porta, la aprì ma ce ne era un’altra e poi un’altra, a poi un’altra e poi un’altra ancora; non sapevo più come fare, ormai pensavo di essere in un labirinto senza uscita.
Quando poi aprì l’ultima porta, trovai lo stesso vecchietto, che prima mi aveva detto di percorrere il labirinto.
Il vecchietto poi mi disse: ”Se sulla collina vuoi arrivare, un’ ultima prova dovrai superare”, e se ne andò scomparendo nel nulla prima che io potessi chiedere spiegazioni.
Tutto cambiò all’improvviso, di fronte a me c’era un pendio, con degli uomini pronti a rapirmi, ma io……
……non esitai. Saltai in sella e mi lanciai giù. Il pendio non era solo ripido, ma anche lungo. Schiacciai i freni, per rallentare, ma la bici incominciò a sbandare. Mollai i freni e lasciai raddrizzare la bici, ma questo fece aumentare la velocità. Non osai guardarmi indietro per paura di andare a sbattere. Anche se mi stavano inseguendo, non potevano prendermi, a meno che non fossi finita contro un albero, in quel caso mi sarei rotto l’osso del collo, e allora che differenza avrebbe fatto?
Schiacciavo i freni, sbandavo, mollavo i freni e prendevo velocità, così per tutto il pendio.
Finalmente arrivato ai piedi della collina mi fermai.
Ero fradicia di sudore e ansimavo. Guardai dietro di me e non vidi nessuno corrermi dietro. Mi sentivo felice e trionfante. Lanciai un grido di gioia.